2006·02·17 - Left n. 6 • Bonaccorsi·L + Bertinotti·F • Unione e discussione

Unione e discussione

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Bertinotti: «Sul Tav niente passi indietro: il principio è che non si fanno opere senza il sì delle comunità»
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di Luca Bonaccorsi
Left n. 6 — 17/02/2006 (venerdì 17 febbraio 2006), p. 42.


Segretario Bertinotti, lei è di nuovo al centro delle polemiche dell’Unione. Il Tav non è nel programma. Ma Prodi dice che si farà “punto e basta”. Lei dice no. Chi vincerà?

Parlare di vittoria è eccessivo. Ma definire l’assenza del Tav una distrazione, o un’omissione, è una risposta difensiva. Sul programma si sperimenta una cosa che spero non venga contraddetta dalla coalizione. C’è il riconoscimento che la scelta non è matura e che necessita di un supplemento di informazione e conoscenza. E che questi problemi si possono affrontare solo con il consenso delle popolazioni. Non è una soluzione, ma è una pista metodologica. L’Unione farebbe bene a valorizzarla, anziché sentirsi in colpa.

Per le Olimpiadi c’è chi ha parlato del rischio di una nuova Genova. Lei teme scontri o provocazioni?

Quando si parla di Genova si deve tenere presente che lì c’è stata una scientifica aggressione, decisa a livello internazionale, con l’obiettivo di mandare in frantumi un movimento allo stato nascente e aprire una drammatica spirale di azione-reazione sulla quale il movimento stesso si sarebbe potuto disintegrare. Ma questo non è avvenuto, perché il movimento aveva nella pancia una vocazione pacifista con la quale ha reagito mettendo sotto scacco l’operazione. Altri sono gli elementi di conflitto che possono prodursi a Torino. Ma anche in questo secondo caso non vedo rischi. Il movimento di popolo della Val di Susa ha dimostrato la sua grande capacità di integrazione in un quadro di proteste mai approdate in atti violenti.

Forse, in questo caso, il movimento ha perso la sintonia con l’opinione pubblica?

Non mi pare. C’è un paese invisibile dal sistema della comunicazione che costringe i protagonisti del disagio a trovare una vetrina. Ma tutto questo non ha bloccato né boicottato niente, ha solo messo in relazione critica queste situazioni con le Olimpiadi. Perché le cose non possono convivere?

Resta sulla linea Ciampi, la tregua sociale?

Assolutamente sì. Ma a condizione che parallelamente venga espresso un riguardo e un interesse per chi critica. Questo oggi è un problema strategico: bisogna saper confliggere e convivere insieme.

Cosa risponde all’accusa di essere l’ispiratore della protesta?

Rispondo troppa grazia Sant’Antonio. C’è un eccesso di Novecento in queste reazioni. Un’idea secondo cui i movimenti sono guidabili, addirittura eterodiretti. Idea che non coglie il loro tratto caratteristico, il carattere comunitario, l’essere prodotti dal protagonismo della società civile prima ancora che della politica. In molti casi non si tratta di conflitti tradizionali, ma conflitti in cui un’intera comunità è protagonista, com’è stato a Scanzano, o a Terlizzi. Le lotte possono essere progressive come in Val di Susa o disperate, come nelle banlieue, ma sono un tratto inedito della società contemporanea.


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ANNOTAZIONI E SPUNTI
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COMMENTO — Incasellato nel mezzo del testo dell’intervista appare anche un breve commento di Gianni Cipriani, intitolato ‹Ecco cosa fa paura all’intelligence›, sui rischi per l’ordine pubblico connessi all’organizzazione delle Olimpiadi a Torino.

Nella pagina a fianco compare invece la rubrica “Contopelo” di Marco Travaglio, quasi ‹Left› si proponesse, in questo 1° numero, di far coesistere — o contrapporre? — le diverse “anime”della contestazione politica, quella “di destra” e quella “di sinistra”.

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